Paolo Buffa (1903-1970) |
Buffa inizia la propria carriera di progettista di mobili e complementi nello studio di Gio Ponti già verso la metà degli anni '20, prima ancora di laurearsi. Qui stringe amicizia con Antonio Cassi-Ramelli con il quale collaborerà fino alla fine degli anni '30 firmando con lui - il loro studio era in via Andrea Doria - progetti per concorsi (ingresso da piazza Giulio Cesare alla Fiera Campionaria, l'Ospedale Maggiore, la fontana di piazza della Scala, il palazzo provinciale di Sondrio) e per alberghi (a Courmayeur e Cortina), allestimenti per spazi commerciali (Vini Italiani, Bar Plaza a Milano) o per le Triennali (1930, 1933, 1936). Fulcro dell'attività di Buffa erano, tuttavia, l'arredamento e la creazione di arredi (contenitori, credenze, mobil-bar, sedute e tavolini, accessori vari ecc.). Il suo stile avvicinava, in una sorta di lirico realismo magico tridimensionale, al classicismo, Stile '900, Déco con un tocco di Razionalismo nella "sfinatezza" delle linee. Così come la ricercatezza dei materiali scelti (per esempio il legno citronnier) e l'eccellenza delle lavorazioni affidate a validissimi artigiani quali gli atelier dei Fratelli Lietti, di Arrighi e della ditta Marelli & Colico, lo resero molto apprezzato e molto conteso tra la borghesia del tempo, milanese e non solo, facendone il punto di riferimento di un buon gusto modernista al pari di Guglielmo Ulrich e dei più anziani Emilio Lancia e Melchiorre Bega, oltre naturalmente al maestro di tutti, Gio Ponti.
Fu un protagonista di quel solido professionismo progettuale milanese che va annoverato tra le radici del Bel Design italiano del Dopoguerra. In quel periodo e fino agli anni '60, Buffa continuò a lavorare a pieno ritmo, e con successo, firmando mobili e arredamenti per residenze private, hotel, yacht, tra l'altro con e per Mario Quarti, altro solido progettista milanese titolare di un'azienda mobiliera, e per Carlo Pesenti, magnate del cemento e dell'editoria. Il suo repertorio si arricchisce di arredi (alla fine saranno più di 13.000 pezzi) sui generis, quanto mai eleganti e leggeri nelle forme e ricercati nella fattura, dissimili dall'essenzialità del razionalismo postbellico allora dominante (sebbene, nelle ultime opere, non manchino assonanze con il linguaggio di Franco Albini), ma sorprendenti antesignani delle attuali produzioni "modern classic". Un personaggio di rilievo, dunque, nel panorama della moderna creatività italiana al quale, nel passato anche recente, AD ha più volte dedicato la propria attenzione.
L'allestimento presso il cult store milanese L'Arabesque comprende anche disegni e fotografie, alcuni tra i suoi mobili più significativi custoditi nell'archivio degli Eredi Marelli di Cantù o realizzati da questi ultimi, benemeriti, prosecutori dell'attività di Marelli&Colico, in base a una lettura rigorosamente filologica; o ancora provenienti dalla collezione di Chichi Meroni che ebbe la fortuna di conoscere Buffa in qualità di arredatore delle case di famiglia. La mostra mira a esplicitare la sua importanza nella storia dell'arredamento moderno e a evidenziare i suoi influssi sul design e la design art contemporanei. E per il suo tramite, a rendere omaggio a una stagione creativa e realizzativa tutta milanese, quella che va dagli anni '20 ai '60-'70, che merita di essere riscoperta e soprattutto criticamente ripensata.