A Enrico Crippa il Grand Prix de l'Art de la Cuisine

Enrico Crippa del Ristorante Piazza Duomo di Alba (3 Stelle Michelin) al lavoro
Maestro e allievo? Molto di più: un'esperienza e una lezione di vita con basi condivise nel tempo, prima ancora di volare nelle grandi tavole del mondo. Nei giorni scorsi, "chez" il Ristorante Gualtiero Marchesi di Milano, è stato consegnato a Enrico Crippa, chef tristellato del Ristorante Piazza Duomo di Alba, il Grand Prix de l’Art de la Cuisine assegnato ogni anno a Parigi dall’Académie Internationale de la Gastronomie e già vinto, tra gli italiani, da Nadia Santini e Massimo Bottura. Una cerimonia  segnata dell'informalità, visto il rapporto di stima tra l’ex allievo e il maestro. Crippa entrò, infatti, a diciassette anni, nel ristorante di Marchesi in via Bonvesin de la Riva a Milano e tra il 1997 e il 2000 lavorò in Giappone  al Bistrot Marchesi di Kobe, continuando poi nel Ristorante del Relais & Chateaux l'Albereta di Erbusco. Ricordi e affetto. Genio e intelligenza da ambedue le parti.
Così Enrico Crippa racconta se stesso: "Partii per il Giappone nel 1997 e tornai in Italia, a Erbusco, nel 2000. In Oriente Mi aveva mandato Marchesi per seguire il suo Bistrot in attività a Kobe. 
Ricordi: Enrico Crippa (con la bandana) e Gualtiero Marchesi (l'ultimo a destra nella foto)
Quei tre anni sono stati fondamentali e una delle conseguenze immediate fu che, una volta tornato al ristorante dell’Albereta, partecipai alla realizzazione del Menu Oggi. Un menu, pensato e avviato da Marchesi insieme a Paolo Lopriore e che rispettava lo spirito kaiseki. Era stato il viaggio in Giappone a chiarirmi fino in fondo cosa intendesse Marchesi, parlando della tradizione giapponese. Mi aveva anticipato ciò che avrei capito e poi fatto consapevolmente". Continua l'ex allievo: "Ho iniziato nel suo primo ristorante, in via Bonvesin de la Riva, all’età di diciassette anni, da cuochino, avendo accanto qualcuno con cui potevi parlare di qualsiasi argomento, dalla storia alla religione, dalla musica al bon ton. A questo proposito, non posso non ricordare un episodio che si svolse proprio a Bonvesin de la Riva. C’era stato un qualche fraintendimento o cambio di comanda relativo a due o tre insalate di spaghetti caviale ed erba cipollina.
I protagonisti della consegna del Grand Prix de l'Art de la Cuisine
Mi rivolsi a Marchesi, dicendogli che non aveva capito e lui, pacatamente, mi disse: 'non devi dire che non ho capito, ma che non ci siamo spiegati bene'. Fu un’introduzione alle sfumature del linguaggio: anche questa è cultura. Gualtiero non era un maestro pedante. Diversamente da quelli che avevo avuto fino ad allora, non ti spiegava passo passo, ma lasciava intravedere ad ognuno la propria strada, in modo da arrivarci da soli. Potrei dire - è sempre Crippa a raccontare se stesso - che Marchesi è stato un esempio, il tipo di cuoco a cui avrei voluto assomigliare. Molte delle cose che ho ascoltato da lui mi capita di raccontarle ancora. Cosa vuol dire kaiseki? Tradurre il concetto giapponese in Menu Oggi significava proporre solo ciò che il mercato offre secondo la stagione e che la cucina può preparare, soddisfacendo i primi clienti che avessero ordinato quel determinato piatto.

Un menu, quindi, che variava moltissimo, mettendo a dura prova l’organizzazione della cucina e della sala e dove la regola imponeva la variazione continua di cibi e di tecniche di cotture, esaltando il contrasto tra forme, colori, consistenze così come tra crudo, stufato, vapore, fritto, arrosto. E dove l’abbellimento del piatto non era fine a se stesso, ma completava il piacere del gusto. Per fare un esempio, l’unica ripetizione accettata nelle verdure erano i funghi e i tartufi. Idee che ho conservato e che metto in pratica anche più facilmente di altri cuochi che non vivono in provincia e in campagna. Per me è un fatto più istintivo avvertire in anticipo i cambi di stagione". Conclude Crippa: "Una scuola importante quella della cucina Kaiseki, tanto più oggi che, lavorando ad Alba, mi confronto ogni giorno con la classicità della cucina piemontese, riuscendo a non tradire il gusto delle cose, pur proponendole in uno stile contemporaneo.
Il Ristorante Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba: una Grand Table
Penso, ad esempio, alla mia tinca in carpione; per quanto destrutturata, ha passato l’esame degli anziani del luogo che hanno riconosciuto il sapore originario. Naturalmente, restiamo italiani: per un giapponese il massimo del risultato è rifare lo stesso piatto del trisnonno con minime variazioni. Per loro la ripetizione è sacra, ha un senso cerimoniale. Noi, invece, abbiamo la facilità e la volontà di innovare. Nel mio ristorante cambio sempre, di stagione in stagione e di anno in anno, anche se qualche cliente mi chiede di fargli riassaggiare l’asparago della volta precedente. Credo che l’esperienza giapponese, il colloquio che Marchesi instaurò con quel mondo sia stato fondamentale quanto l’introduzione della Nouvelle Cuisine in Italia. Allora, si aprì una stagione straordinaria di novità. Non fu un caso, ma un riconoscimento del destino, se dalla cucina di Marchesi sono usciti, nell’arco di un decennio, oltre al sottoscritto, Paolo Lopriore, Carlo Cracco, Davide Oldani, Paola Budel, Andrea Berton, Pietro Leeman, Ernst Knam e Antonio Ghilardi".

Gualtiero Marchersi parla, a proposito di Enrico, di "un ragazzo preciso. Leggendo le parole di Crippa mi pare, tutto sommato, di aver ben seminato con lui e con altri che sono riusciti prima di tutto a esprimere se stessi e poi a farsi strada nel mondo della cucina. Ammetto che la cosa mi rende orgoglioso, perché insegnare e imparare sono facce della stessa medaglia. E non c’è dubbio che io abbia imparato molto dai miei allievi. Quelli sono stati anni energici e profondi, in cui ci si confrontava molto, si discuteva e si sgobbava. Crippa si faceva notare per l’impegno. Era un ragazzo preciso, direi puntiglioso, molto organizzato, non gli piaceva lasciare le cose al caso. Dipendeva dal carattere, ma era anche frutto del desiderio di riuscire.
Ricordo che la vicinanza con Lopriore - conclude il maestro dei cuochi italiani e non solo - non era priva di scintille e, alla fine, essendo loro troppo diversi - più introverso e metodico Crippa e più estroverso e sbarazzino Paolo - un bel giorno Enrico prese i suoi coltelli e se ne andò. Sicuramente, averlo mandato in Giappone, è stata una buona idea. Quella cucina, ma direi piuttosto quel modo di essere e di pensare, mi ha conquisto per la semplicità. Mi ha fatto capire come tutto inizi e torni alla materia prima. Se la rispetti fai, innanzitutto, salute e attraverso la semplicità scopri la forma, raggiungi una naturale perfezione. A dirla tutta, la verità del cuoco è saper cuocere bene". E forse guardare oltre la cucina stessa, allargando orizzonti e flirtando con l'arte tutta. Riferimenti, citazioni e persino esperimenti. Da mettere nel piatto ogni giorno per dare vita ad un'esperienza indimenticabile. Il Maestro dei Maestri. Opere, non solo cibo: Gualtiero Marchesi.

                                                                                           a cura di Daniele Vaninetti